Si può essere profondamente ispirati da un fotografo senza averne mai visto una foto o averne mai sentito parlare? Non posso dare nessuna risposta sensata, eppure è una domanda che mi è sorta spontanea dopo aver conosciuto i lavori sulla famiglia di Alain Laboile.
Nato a Bordeaux nel 1968, Alain si avvicina alla fotografia nei primi anni del 2000 come strumento per pubblicizzare il suo lavoro di scultore e sperimentando in maniera hobbistica la macrofotografia; solo con la nascita dei suoi 6 figli (Eliott, Olyana, Luna, Merlin, Dune e Nil) inizia a trasportare la fotografia in famiglia, in un contesto privato e più personale. Da allora inizia a documentare la vita dei suoi figli nella loro casa e nella campagna limitrofa, costruendo un album di famiglia fatto di spontaneità ed espressività. La notorietà giunge nel 2012, quando il New York Times pubblica i suoi ritratti di famiglia, facendo conoscere Laboile a livello globale; da allora ha esposto in tutto il mondo, dal Giappone agli Stati Uniti, e ha pubblicato diversi libri: At the Edge of the World (2015) e Summer of the Fawn (2018) sono solo due dei suoi libri che vi cito per avvicinarvi alla sua fotografia.
Le foto di Alain si allontanano dai classici album fotografici familiari (per intenderci, quelli dove tutti noi ci rivediamo all’età di 8 anni in foto sbiadite con occhi rossi, sorrisi forzati e vestiti da Pierrot o da Pulcinella) divenendo una “eredità” da trasmettere ai propri figli (e non solo). Le sue immagini sono caratterizzate da una profonda leggerezza che avvolge e coinvolge l’osservatore nella gioia innocente dei suoi figli. Le corse a piedi nudi, i bagni nel fiume e i giochi sfrenati evocano empatia e giocano con la fantasia dell’osservatore; un giornale diventa una coperta, una tinozza si trasforma in barca, improvvisamente ci ritroviamo immersi nei giochi, sporchi di fango, sfiancati da una corsa infinita, felici.
Ritornando alla domanda iniziale, continuo a non avere una risposta reale. Ho conosciuto i lavori di Laboile quasi per caso, dopo aver parlato con un membro di un ciclo fotografico presso il quale avevo presentato Cuginanza e non posso non vedere un sentimento affine e un percorso a cui ispirarmi.