In un mondo sempre più divorato dalla guerra, dove – per pura necessità di autoconservazione – si finisce inevitabilmente con il distogliere lo sguardo, i fotoreporter possono ancora riportarci all’umanità, nella maniera più schietta e nuda possibile. Questa valutazione, semplice e probabilmente scontata, mi è tornata in mente alcuni giorni fa, dopo aver rivisto per puro caso lo scatto forse più famoso di James Natchway, ovvero il sopravvissuto al campo di sterminio Hutu in Rwanda.
Il contesto, mai troppo noto ai più, è quello del genocidio ruandese del 1994, quando in soli 100 giorni vennero uccisi più di un milione di Tutsi da parte della maggioranza Hutu, frutto di una escalation della tensione sviluppatasi in decenni tra i 2 gruppi etnici.
Natchway ci porta direttamente nell’orrore e nella tragedia di quel conflitto, in maniera unica e disarmante. La forza del messaggio di questo scatto è evidente, condensato nelle cicatrici, nello sguardo attonito, nel gesto di tenersi la gola affamata d’aria che compie il profugo. Sentiamo la rabbia di chi lo ha colpito al volto con un machete non una, ma cinque o più volte; improvvisamente anche noi ci sentiamo soffocare, anche noi condividiamo l’ansia e il terrore e ci sentiamo vittime di quella che sembra a tutti gli effetti una macellazione. Il ragazzo non ci guarda, non guarda realmente nulla e la sua posizione a margine dello scatto destabilizza ulteriormente.
Noi siamo spettatori del suo orrore; lo percepiamo, sentiamo il suo dolore, eppure non lo possiamo afferrare.
In questa foto si racchiude tutta la poetica di un fotografo incredibile come Natchway: uno scatto caratterizzato da un impatto visivo e da una carica emotiva devastanti, capace di smuovere i sentimenti più profondi dell’osservatore, anche quello più distratto. La tragedia dietro questa foto è raccontata con dignità; non abbiamo bisogno di vedere il carnefice colpire la sua vittima, lo percepiamo visivamente ed emotivamente.
James Nachtwey è nato a Syracuse nel 1948. Ha avviato il suo percorso per divenire fotografo dopo essere stati profondamente colpito dalle immagini provenienti dalla Guerra del Vietnam. Ha iniziato a lavorare come fotogiornalista nel 1976 in Nuovo Messico, per poi divenire freelance e svolgere il suo primo grande lavoro in Irlanda, durante lo sciopero della fame di alcuni militanti dell’IRA. In più di 40 anni di carriera, Nachtwey ha raccontato decine di conflitti più o meno distanti da noi tutto attorno al mondo, riuscendo in molti dei suoi scatti a trasmettere le stesse sensazioni qui descritte. Su tutto, vi consiglio di visionare i suoi lavori sul conflitto in Rwanda e, per vicinanza, sui Balcani.